Il grande disastro del 1343
“Serrata la finestra mi posi sopra il letto, ma dopo avere un buon pezzo vegliato, cominciando a dormire, mi risvegliò un rumore e un terremoto, il quale non solo aperse le finestre, e spense il lume ch’io soglio tenere la notte, ma commosse dai fondamenti la camera dov'io stava”.
Così Francesco Petrarca descrisse il terremoto che colpì la città di Napoli il 25 novembre del 1343. Il poeta si trovava in missione diplomatica nel Regno di Napoli in veste di ambasciatore, inviato da Papa Clemente VI, e descrisse dettagliatamente il cataclisma nel quinto libro delle sue Epistolae familiares. A quel terremoto seguì un disastroso maremoto, che portò ingenti danni alla città e alla costiera amalfitana; la stessa Amalfi fu gravemente danneggiata. Ma come mai successe tutto questo?
Nel novembre del 1343 era arrivato appunto Petrarca a Napoli, che alloggiò nel convento di San Domenico Maggiore; pochi giorni dopo il suo arrivo, il 25 novembre, ci fu un terremoto: la notte, stando a quanto descritto dal poeta, venne avvertito un forte boato, che scosse la città dalle fondamenta; seguirono un violento temporale ed un maremoto che travolsero la parte bassa della città. Petrarca descrisse l'evento affermando: "si dice che questa tempesta abbia infuriato lungo tutto l’Adriatico, il Tirreno e per ogni dove”.
Comunque, la mattina dopo, Petrarca si diresse sul molo della città, e quello che trovò ce lo facciamo raccontare direttamente da lui:
"Il terreno su cui ci trovavamo, eroso dalle acque che vi erano penetrate, franò velocemente; Noi, in terraferma, a stento ci siamo salvati, nessuna nave resse ai flutti né in alto mare e neppure nel porto. Una sola fra tante, carica di malfattori, si salvò. La loro nave, pesante, molto robusta e protetta da pelli di bove, dopo aver sostenuto sino al tramonto la forza del mare, alla fine cominciava anch’essa a cedere. E così, mentre lottavano e a poco a poco affondavano, avevano protratto il naufragio sino a sera; spossati alla fine, cedute le armi, si erano raccolti nella parte superiore della nave quand’ecco, al di là di ogni speranza, il volto del cielo rasserenarsi e calmarsi l’ira del mare ormai stanco."
Le fortificazioni, i cantieri navali, i magazzini e le attrezzature marittime del porto di Napoli furono sommersi dalla sabbia e dalle acque; numerose navi affondarono e molti uomini persero la vita. La chiesa di San Pietro martire, ancora in costruzione, fu notevolmente danneggiata dal maremoto, così come la chiesa di Piedigrotta, all'epoca vicina alla spiaggia. Un terzo di Amalfi venne inghiottito dal mare; Pozzuoli perse il ponte levatoio della città, mentre l'acquedotto fu interrato e varie case della città rase al suolo.
I segni di quel disastro sono ancora visibili in città, ad oltre seicento anni di distanza: la chiesa di Santa Maria dell'Incoronata, che si trova in via Medina, è ancora interrata al di sotto del livello stradale, a più di due metri di profondità, così come quella di San Giovanni Battista al mare, attualmente ribassata di quasi un metro rispetto al piano stradale.
"Il terreno su cui ci trovavamo, eroso dalle acque che vi erano penetrate, franò velocemente; Noi, in terraferma, a stento ci siamo salvati, nessuna nave resse ai flutti né in alto mare e neppure nel porto. Una sola fra tante, carica di malfattori, si salvò. La loro nave, pesante, molto robusta e protetta da pelli di bove, dopo aver sostenuto sino al tramonto la forza del mare, alla fine cominciava anch’essa a cedere. E così, mentre lottavano e a poco a poco affondavano, avevano protratto il naufragio sino a sera; spossati alla fine, cedute le armi, si erano raccolti nella parte superiore della nave quand’ecco, al di là di ogni speranza, il volto del cielo rasserenarsi e calmarsi l’ira del mare ormai stanco."
Le fortificazioni, i cantieri navali, i magazzini e le attrezzature marittime del porto di Napoli furono sommersi dalla sabbia e dalle acque; numerose navi affondarono e molti uomini persero la vita. La chiesa di San Pietro martire, ancora in costruzione, fu notevolmente danneggiata dal maremoto, così come la chiesa di Piedigrotta, all'epoca vicina alla spiaggia. Un terzo di Amalfi venne inghiottito dal mare; Pozzuoli perse il ponte levatoio della città, mentre l'acquedotto fu interrato e varie case della città rase al suolo.
I segni di quel disastro sono ancora visibili in città, ad oltre seicento anni di distanza: la chiesa di Santa Maria dell'Incoronata, che si trova in via Medina, è ancora interrata al di sotto del livello stradale, a più di due metri di profondità, così come quella di San Giovanni Battista al mare, attualmente ribassata di quasi un metro rispetto al piano stradale.
Il maremoto di Napoli del 1343 fu un evento spaventoso, le tracce sono visibili ancora oggi. Se vi trovate in città e passate vicino alle due chiese di cui vi abbiamo parlato, da oggi saprete perché esse sono ribassate rispetto alle strade circostanti.
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