L'archibugio

In un articolo passato ci siamo occupati delle bocche da fuoco, che fecero la loro comparsa intorno al XIV secolo. Quando parliamo di bocche da fuoco, ci riferiamo ad armi impiegate durante gli assedi; pertanto, già nella seconda metà del XV secolo, i cannoni maneschi cambiarono dunque aspetto, con le canne che si allungarono sempre di più per conferire maggiore precisione al tiro. Per alcuni decenni divenne prassi comune quella di impiegare due uomini per ciascuna arma: uno era incaricato al puntellamento, mentre l'altro all'accensione della carica di polvere da sparo. In questo modo si evitava il problema di un singolo uomo che doveva contemporaneamente reggere l'arma, puntarla e dare fuoco alla carica. Il sistema si rivelò piuttosto efficace ma, già nella prima metà del XV secolo, esso era rimasto in uso solo per le armi più grosse e pesanti. Usare due uomini per un'unica bocca da fuoco era infatti antieconomico e non risolveva i difetti principali dell'arma.

Due soldati sulla sinistra usano un archibugio
durante una battaglia, 1470 circa

La strada giusta era ancora una volta quella di cercare una soluzione modificando lo strumento stesso; infatti il risultato fu la realizzazione di un'arma da fuoco che può essere considerata l'antenato di tutte le armi moderne:  l'archibugio a miccia. Nell'archibugio, il bastone di legno del cannone manesco, che veniva impugnato scomodamente sotto l'ascella dal tiratore, era sostituito da un elemento di legno appositamente sagomato. La parte anteriore serviva a dare alloggiamento alla canna mentre quella posteriore terminava con una forma a calcio, che poteva essere appoggiata al corpo del tiratore. Inizialmente l'archibugio veniva appoggiato al torso oppure era tenuto sopra la spalla, e solo in seguito si arrivò a forme di calcio che si potevano appoggiare alla spalla. Il miglioramento era comunque evidente rispetto ai vecchi cannoni maneschi che, infatti, sparirono ben presto dalla circolazione, ad eccezione di quegli ingegnosi aggeggi, conosciuti talvolta come "aspersori", che celavano, all'interno di un corpo cilindrico a mazza, uno o più canne caricate con polvere da sparo e proiettili.


Ricostruzione di come doveva essere un archibugio a miccia

L'altra grande innovazione dell'archibugio era il sistema di accensione della carica. Nei cannoni maneschi e negli schioppi, l'accensione era ottenuta avvicinando con una mano una cordicella in fiamme o un pezzo di filo di ferro ardente al focone, cioè il foro ricavato nella culatta che comunicava con la camera di scoppio. Il procedimento era scomodo perché, come abbiamo già ricordato, costringeva il tiratore a muovere una mano verso il focone, abbandonando l'impugnatura. L'archibugio a miccia, invece, era dotato di un semplice pezzo di metallo a serpentino a cui era vincolata la miccia ardente. Il serpentino era incernierato in modo tale da consentire al tiratore, agendo su una apposita levetta, di abbassarlo con la miccia fino a farle toccare il focone. La carica veniva così accesa e l'arma sparava, senza che il tiratore avesse dovuto lasciare la presa delle due mani. Il sistema era semplice, affidabile e poco costoso; anche l'addestramento richiesto era minimo e l'uso dell'arma intuitivo. L'archibugio a miccia era finalmente un arma da fuoco "matura", adatta a essere prodotta in gran numero. Non si sa con precisione quando i primi archibugi a miccia vennero prodotti, ma è certo che essi iniziarono a comparire verso la fine del XV secolo. Gli archibugi acquisirono subito grande popolarità ed entrarono in gran numero a far parte delle dotazioni degli eserciti. Con tali strumenti, l'era delle armi da fuoco era veramente cominciata, mentre quella degli archi e delle balestre iniziò il suo inesorabile declino.

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