Le scoperte sulla ceramica di Orvieto

Nel Medioevo Orvieto era un importante centro di produzioni ceramiche. Nella decorazione ceramica, grazie ad alcuni studi condotti a seguito di uno scavo, si sono fatte scoperte su due elementi ben specifici: il verde ramina, che dava la tipica colorazione verde, per l'appunto; e la cristallina, un rivestimento vetroso per la ceramica stessa.

Un frammento di ceramica

Nel centro cittadino c'è un pozzo profondo oltre 30 metri, scavato interamente nel tufo, e chiamato Pozzo della Cava. Si tratta di un pozzo di origine etrusca scoperto nel 1984. La struttura presenta diverse cavità e locali, in uno di questi si possono tutt’oggi vedere resti di un forno di cottura di un laboratorio di ceramica medievale; sempre di origine medievale è una cavità scavata nel tufo utilizzata come cantina. Nel laboratorio sono stati rinvenuti diversi frammenti di ceramica su cui sono stati fatti degli studi: così sono stati scoperti due ingredienti impensabili nel “verde ramina” e nella cristallina, oltre ad alcune informazioni sulla provenienza e la diffusione dell’argilla usata nel Medioevo e nel Rinascimento.

Il pozzo della cava

La formula del tipico verde orvietano", spiega il proprietario del sito Marco Sciarra, "sarà rivelata a breve assieme a tutti i risultati dello studio su una prestigiosa rivista scientifica, ma, naturalmente, abbiamo già provato la ricetta nel nostro laboratorio di ceramica con risultati sorprendenti. Impossibile, invece, replicare il famoso colore ambrato della cristallina medievale, ottenuto, come appena scoperto, con l’aggiunta di antimonio all’ossido di piombo, in un mix così tossico da poter diventare addirittura letale”.
Queste scoperte sono state possibili perché nel 2020 il quartiere medievale della città si è arricchito di un complesso archeologico, in collaborazione con un'azienda di calibro internazionale nel campo dell'edilizia come la Weber Saint-Gobain, sotto la supervisione dell'archeologo Francesco Pacelli della Soprintendenza dell'Umbria. Quest'azienda ha effettuato anche le analisi sulle ceramiche medievali e rinascimentali, fatte dal chimico Christian Lugari, ottenendo risultati straordinari nel riconoscimento della composizione dello smalto, delle decorazioni e dell’interno dei campioni forniti e, ove possibile, sono state stimate la temperatura di cottura, la composizione dei pigmenti utilizzati, la composizione mineralogica dell’impasto ceramico e le materie prime impiegate nella loro foggiatura.
Nei materiali di XIII e XIV secolo le tecniche costruttive delle fornaci permettevano il raggiungimento di una temperatura elevata, tra i 600 e i 1000 gradi, rendendo quelle di via della Cava uno strumento altamente “tecnologico” per gli standard di allora. Alcuni campioni osservati presentano tuttavia microfratturazioni subite dalla ceramica durante la fase di raffreddamento fuori dalla fornace, in un ambiente umido e chiuso, certamente in una delle tante grotte-cavità presenti nel quartiere medievale o un butto dove per secoli le ceramiche hanno soggiornato fino al loro reperimento. Nei materiali di XV e XVI secolo invece, nonostante la loro permanenza in ambienti degradati, la migliore tecnologia con cui sono stati realizzati non consente di percepire né microfratture né imperfezioni nella cottura del corpo argilloso, simbolo questo di una metodologia oramai acquisita nei processi di ossigenazione dei prodotti.
Studiando i microfossili marini presenti all'interno delle argille che originariamente componevano le ceramiche, si è capito che molto probabilmente la fonte di approvvigionamento doveva essere alla base della rocca tufacea di Orvieto, formata da argille di quasi due milioni di anni fa, che poi sono state seppellite dalle eruzioni dei vulcani laziali presenti in zona. Tutt'ora però, non è stato possibile individuare il sito di estrazione preciso.

La rupe di Orvieto, alla base di essa dovrebbe esserci il sito di estrazione delle argille

Interessante notare sui frammenti ceramici la presenza di vetrina, uno smalto vetroso che serviva ad isolare gli elementi contenuti nelle ceramiche dalla ceramica stessa, evitando contaminazioni con l'argilla di cui erano composte. Questa tecnologia di origine araba era arrivata nelle fabbriche orvietane; esse aggiunsero un pigmento giallo-ocra derivante dallo scioglimento della stibnite, detta anche solfuro di antimonio; tale minerale (come anche gli altri che consentivano di ottenere diverse colorazioni per l’arricchimento dell’apparato decorativo) si pensava provenisse dai mercati orientali, mediante tragitti carovanieri di lungo corso, quando in realtà la sua formazione in ambienti tipicamente idrotermali, riconduce la presenza del minerale ad ambiti più prettamente locali di origine vulcanica. I giacimenti italiani più vicini ad Orvieto si trovano difatti a Manciano (GR).
Francesco Pacelli infine aggiunge che nei minerali che compongono invece le argille del XIV sec. è prevalente l’uso di ossido di Stagno, la cui colorazione bianco-perlacea opalescente permetteva di ottenere un “fondo” chiaro che esaltava le tonalità dell’apparato decorativo, realizzato solitamente con tipici colori come il marrone/bruno-scuro, derivato dall’ossido di manganese, e il verde, derivato dall’ossido di rame. Tale novità del “fondo bianco”, contraddistingue il secolo XIV nell’invenzione della cosiddetta Maiolica, o “stile maiolicato” (o “faïence”), il cui nome deriva da quello dell’isola di Maiorca, uno dei centri più attivi in tale smercio nel Medioevo. Nelle argille dei laboratori di via della Cava, è stato ritrovato un particolare ossido di stagno, la cassiterite, la cui estrazione è stata riconosciuta presso l’Isola d’Elba o più probabilmente, poiché più abbondante, nella miniera di Monte Valerio (presso Campiglia Marittima) in Toscana, da cui certamente originano anche quegli ossidi stanniferi utilizzati in epoca etrusca per ottenere la tipica “ceramica argentata” di produzione orvietana.
Un confronto tra i minerali stanniferi presenti nelle ceramiche etrusche e medievali potrebbe confermare l’origine comune dalla cava toscana, che risulterebbe avere una straordinaria durata secolare.
Lo studio delle argille è tuttavia ancora in corso e certamente foriero di altre straordinarie novità, come ugualmente l’allestimento dei nuovi ambienti che accoglieranno presto le nuove collezioni ceramiche rinvenute. Nuovi tasselli vanno dunque ad aggiungersi all’immenso quadro culturale che caratterizza la città sul tufo, la cui preziosità si spera possa essere oggetto di un turismo sempre più slow time and easy.

Commenti

Post popolari in questo blog

Le acconciature e i capelli nel Medioevo

La scrittura nel medioevo

Il Letto in epoca medievale