Historie Medievali feudal Japan: i monaci guerrieri

Nel corso del periodo Heian, di cui abbiamo parlato in un articolo passato che potete consultare a questi due link (prima parte, seconda parte), possiamo incontrare un particolare tipo di figura, lo “Sōhei” (僧兵) ovvero “Monaco guerriero”. Potenti tanto da costringere alcuni Daimyō a collaborare con loro, faranno il bello e il cattivo tempo fino a quando, nel 1580, non verranno destituiti in quanto troppo pericolosi. Scopriamo insieme la loro storia.

Uno sōhei

Come noto, i testi buddhisti parlano chiaro riguardo l’uso proibito delle armi e della violenza, ma nonostante ciò i monaci sostengono che per proteggere il Dharma buddhista da chi tenta di profanarlo, sia lecito il loro uso.
Quando arrivò il periodo Heian, i buddhisti consolidarono e affermarono la loro presenza sull'arcipelago giapponese: i monaci, con la loro sete di potere, spaventarono così tanto l’élite alla corte Heian, che venne istituita una legge chiamata “Sōniryō” (giap. 僧尼理法) letteralmente "legge per monaci e monache", che vietava a questi ultimi di compiere qualsiasi atto di violenza. La legge però non durò a lungo, in quanto con la scusa che i monaci non potevano usare nessuna forma di oppressione, molti contadini finsero di esserlo per evitare di entrare nell’esercito, e il governo si ritrovò con pochi giovani idonei all’arruolamento. Allora si decise di allentare la legge, consentendo anche ai monaci il possesso e l’uso di armi. Così si arrivò ad avere monaci capaci di usare le armi, e ne divennero così tanti che nel IX secolo i principali templi buddisti erano protetti da bande di monaci. Infatti, spesso accadeva che i templi fossero in lotta fra di loro, tanto che addirittura la corte era costretta a intervenire per porre fine agli scontri.

Statua dell'abate Ryōgen

Nell'XI secolo, l'abate Ryōgen, della setta buddhista Tendai, cercò di porre fine una volta per tutte a queste continue guerre, emanando delle vere e proprie regole da rispettare. Una di queste era il divieto di portare sul capo il cappuccio della toga: alcuni monaci lo indossavano di proposito con l’intento di nascondere la propria identità; questo permetteva loro di compiere innumerevoli atti criminosi senza venir di fatto riconosciuti da nessuno. Purtroppo anche questa serie di regole atte a limitare la violenza durarono ben poco e lo stesso Ryōgen fu costretto più volte a servirsi di armate militari per non venire a sua volta spodestato da altre scuole nemiche. Passarono così secoli di scontri e violenze, durante i quali molti dei magnifici templi vennero bruciati o distrutti dai combattimenti fra fazioni opposte. 
Nel XIV secolo per i monaci guerrieri un nuovo nemico si palesò all’orizzonte: lo “Shōgun” (giap. 将軍), letteralmente "generale o comandante di un esercito", che in quel periodo stava diventando via via sempre più forte in Giappone. In realtà lo Shōgun non era contro il buddismo in sé, anzi, ci teneva a mantenere dei rapporti amichevoli con le varie scuole religiose, ma solo con quelle che erano in linea con il proprio pensiero. La sua scuola prediletta fu quella buddhista zen.

Uno shogun

La fazione pacifica dei monaci buddhisti, forti dell'appoggio dello shogunato, dichiararono la loro come unica vera forma di buddhismo, portando così a una serie di scontri con la fazione guerriera, che si alleò con un'altra ancora più violenta. La coalizione così formata diede vita alla “Ikkō Ikki”, che significa letteralmente “rivolta dell’unica mente”. Si trattava in sostanza di un gruppo di monaci buddhisti, che oggi potrebbero essere definiti fondamentalisti religiosi, che vedevano la morte in battaglia come un accesso diretto al paradiso. Intanto, oltre alle lotte continue tra monaci di varie fazioni e scuole, il Giappone era percorso da altrettante guerre interne: i leader delle varie province si scontravano fra di loro per ottenere l’egemonia sul paese che andava in quegli anni via via unificandosi. Eravamo in pieno periodo Sengoku (ne abbiamo parlato qui).
Oda Nobuganga, uno dei padri dell'unificazione del Giappone, intuendo il pericolo che questi monaci rappresentavano, decise di affrontarli una volta per tutte: nel 1580 finalmente sconfisse il gruppo fondamentalista degli Ikkō Ikki, mentre i rimanenti monaci guerrieri, anche se non più forti come all’inizio, resistettero ancora fino all’arrivo del governo Tokugawa.
Gli Sōhei e la loro violenza sparirono; così il buddismo perse parte della sua importanza, permettendo l'ascesa dello scintoismo. già presente nell'arcipelago nipponico dal V secolo, che poneva la famiglia imperiale al centro di tutto e innalzava la figura dell’imperatore al pari di una divinità. Quest'ultima si affianca così al buddhismo, almeno temporaneamente, e pone una base importante al Giappone odierno.

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