I placiti campani

Quattro testimonianze scritte su pergamena, di cui una eternata nel marmo, redatte fra il 960 ed il 963 dopo Cristo, rappresentano il primo documento in lingua volgare e che formerà, nei secoli a venire, la lingua napoletana o meridionale, un gruppo di dialetti aventi regole grammaticali e sintattiche piuttosto simili, che si diffonderà fra l'Abruzzo e la Calabria prendendo dapprima il nome collettivo di Volgare pugliese; poi, non appena la città principale dell'Italia meridionale diverrà Napoli, diventerà preponderante su tutti la versione partenopea del pugliese, dando così vita al napoletano
I documenti che testimoniano la nascita di questa lingua volgare hanno il nome di "Placiti Campani".

Il placito capuano, in una lapide a Capua

Si tratta, per la precisione, di quattro testimonianze giurate (registrate tra il 960 e il 963) sull'appartenenza di certe terre ai monasteri benedettini di Capua, Sessa Aurunca e Teano; essi rappresentano i primi documenti scritti in volgare nella penisola italiana.
Il primo placito, datato 960 dopo Cristo e inciso a Capua, riguardava una contesa sui confini di proprietà tra il monastero di Montecassino e un piccolo feudatario locale, Rodelgrimo d'Aquino. Con questo documento tre testimoni, dinanzi al giudice Arechisi, deposero a favore dei Benedettini, indicando con un dito i confini del luogo che era stato illecitamente occupato da un contadino dopo la distruzione dell'abbazia nell'883 da parte dei saraceni. Il testo è di seguito riportato: 
        
        "Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti.", 

che letteralmente afferma che le terre, incluse in quei confini, per trent'anni sono state possedute dai monaci benedettini.
Gli altri tre placiti recitano le seguenti affermazioni:

"Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe monstrai, Pergoaldi foro, que ki contene, et trenta anni le possette."
(Sessa, marzo 963 d.C)

"Kella terra, per kelle fini que bobe mostrai, sancte Marie è, et trenta anni la posset parte sancte Marie."
(Teano, luglio 963 d. C)

"Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe mostrai, trenta anni le possette parte sancte Marie."
(Teano, ottobre 963 d. C.)

Questi placiti indicano che per trent'anni le terre sono state possedute dai suddetti monaci. Questa formula, ricorrente all'interno delle affermazioni sopra riportate, corrisponde ad altre formule simili ma scritte in latino e ritrovate a Lucca nell'822 e a San Vincenzo al Volturno nel 936, nel 954 e nel 976.
Dal momento che i testimoni erano tutti chierici o notai, si presume che sarebbero stati in grado di pronunciare la formula in latino e se questo non è stato, evidentemente costoro avevano ritenuto opportuno far conoscere il contenuto a tutti quelli che erano presenti al giudizio.
Le parole che i testimoni devono giurare erano state preparate dal giudice e in seguito il notaio sottolineava la conformità delle dichiarazioni. Con ciò vi è la certezza che questi documenti non sono la riduzione scritta di frasi pronunciate improvvisamente, ma che essi sono la testimonianza dei primi documenti di un linguaggio cancelleresco scritto con una struttura sintattica complessa.

Pergamena riportante il placito cassinese

Documenti simili divennero sempre più frequenti, evidenziando il diffondersi e rafforzarsi progressivo del volgare e l'intenzione di usarlo con scopi o con caratteri differenti da quelli fino a quel momento usati. Tuttavia il latino, grazie al carattere conservatore della Chiesa, restò ancora, per tutto il Duecento e oltre, lingua della cultura e occorsero parecchi secoli perché il volgare italiano, divenuto ormai lingua letteraria e culturale, raggiungesse tutti i settori del sapere.

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