La leggenda del Prete Gianni e del regno delle "Tre Indie"
Nel 1165, venne recapitata all’imperatore bizantino, Manuele I Comneno, una misteriosa lettera, proveniente da un altrettanto misterioso monarca orientale, che si qualificava come Presbyter Johannes o Prete Gianni.
Scritta in perfetto latino, fu successivamente recapitata anche al papa di Roma, Alessandro III, al secolo Rolando Bandinelli, e all’imperatore Federico I Hohenstaufen, detto il Barbarossa. Il mittente sosteneva di regnare sul non meglio identificato paese delle “Tre Indie” – che accoglieva a suo dire le spoglie dell’apostolo Tommaso, evangelizzatore dell’Oriente – e di professare il credo nestoriano. Egli si definiva presbyter e rex, re e sacerdote.
Poiché si vantava di aver sconfitto i musulmani di Persia, nonché di avere al suo comando un cospicuo e agguerrito esercito votato alla causa, il Presbyter offriva i suoi servigi per aiutare i cristiani occidentali, reduci dalla disastrosa seconda crociata (1147-1150), a riconquistare ed a riportare alla vera fede i luoghi sacri di Gerusalemme, scacciandone una volta per tutte l’islamico usurpatore.
Nella missiva, il misterioso monarca non lesinava dettagli favolosi a proposito del proprio regno, descritto con particolare riguardo alle sue ingentissime ricchezze e alle meraviglie che vi si trovavano.
In conclusione, congedandosi, egli invitava l’imperatore bizantino (e, implicitamente, anche gli altri destinatari della lettera) a recarsi in visita da lui, per verificare con i propri occhi la veridicità dei suoi racconti.
Chi era dunque questo Prete Gianni? Com’era prevedibile, in breve tempo la risposta a questo interrogativo divenne quasi un’ossessione per i regnanti e gli intellettuali europei.
Sia sull’origine dell’appellativo presbyter che su quella del nome Johannes, circolarono le spiegazioni più azzardate, che di volta in volta ne facevano un omaggio a San Giovanni Evangelista, oppure a un oscuro “Giovanni il presbitero”, identificato fra il I e il II sec. d.C. dal vescovo greco Papia di Ierapoli con l’autore dell’Apocalisse, oppure ancora lo ritenevano collegato a molteplici titoli regali di origine orientale, come il cinese wang (re), il mongolo khan (principe) o l’etiope Giān.
Allo stesso tempo, si moltiplicarono le spedizioni che, dall’Europa partivano alla volta dell’Asia o dell’Africa, allo scopo di rintracciare il favoloso regno del Prete Gianni, così come le ambascerie inviate, soprattutto dal papa, con l’incarico di entrare in contatto con l’enigmatico dominio cristiano d’oriente.
Man mano che le notizie si facevano più numerose e parimenti sempre meno attendibili, quanto di reale poteva celarsi dietro la storia del Prete Gianni venne sommerso in un fittissimo intrico di miti, leggende, aneddoti, resoconti fantasiosi.
Sebbene a tutt’oggi non si sia giunti a mettere la parola fine alle illazioni su questo capitolo arcano della storia medievale, la maggior parte degli studiosi odierni propende per la falsità della lettera recapitata a Manuele Comneno, riconducibile, a detta dei più, all’opera della cancelleria di Fedrico Barbarossa, e finalizzata a ribadire le intenzioni dell’imperatore di imporre la propria suprema volontà, sia nella sfera spirituale (nei confronti del papa Alessandro III) che in quella temporale (nei confronti dell’imperatore bizantino).
Al di là, in ogni caso, dell’effettiva origine storica dello scritto, il mito del Prete Gianni esercitò un enorme fascino sull’immaginario collettivo medievale: giustificò spedizioni militari, permise l’avvio di nuovi traffici commerciali e ravvivò l’interesse europeo per l’estremo oriente e, pur in misura minore, per l’Africa subsahariana, tanto da passare alla storia come una delle epopee più influenti dell’intera Età di Mezzo.
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