Figlio di Cavalcante dei Cavalcanti, Guido Cavalcanti nacque a Firenze intorno all'anno 1258 in una nobile famiglia guelfa di parte bianca, che aveva le sue case vicino a Orsanmichele, e che era tra le più potenti della città. Nel 1260 Cavalcante, padre del poeta, fu mandato in esilio in seguito alla sconfitta di Montaperti. Sei anni dopo, in seguito alla disfatta dei ghibellini nella battaglia di Benevento, che avvenne nel 1266, i Cavalcanti riacquistarono la preminente posizione sociale e politica a Firenze. Nel 1267 a Guido fu promessa in sposa Bice, figlia di Farinata degli Uberti, capo della fazione ghibellina. Da Bice, Guido avrà i figli Tancia e Andrea.
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Ritratto di Guido Cavalcanti
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Nel 1280 Guido è tra i firmatari della pace tra guelfi e ghibellini e quattro anni dopo siede nel Consiglio generale al Comune di Firenze insieme a
Brunetto Latini e
Dino Compagni. Secondo quest'ultimo, a questo punto, avrebbe intrapreso un pellegrinaggio a
Santiago di Compostela. Pellegrinaggio alquanto misterioso, se si considera la fama di ateo e miscredente del poeta. Il poeta minore Niccola Muscia, comunque, ce ne dà un'importante testimonianza attraverso un sonetto. Il 24 giugno 1300
Dante Alighieri, priore di Firenze, è costretto a mandare in esilio l'amico, nonché maestro, Guido con i capi delle fazioni bianca e nera in seguito a nuovi scontri.
Cavalcanti si reca allora a Sarzana e si pensa che fu allora che scrisse la celebre ballata
"Perch'i' no spero di tornar giammai". Il 19 agosto gli è revocata la condanna per l'aggravarsi delle sue condizioni di salute (forse a causa della malaria). Il 29 agosto muore, pochi giorni dopo essere tornato a Firenze, probabilmente della malaria che aveva contratto in esilio.
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Dante Alighieri e Virgilio incontrano all'Inferno Cavalcante dei Cavalcanti |
È
ricordato - oltre che per i suoi componimenti - per essere stato citato
da
Dante (del quale fu amico assieme a
Lapo Gianni) nel celebre nono
sonetto delle Rime Guido,
"i' vorrei che tu e Lapo ed io".
Dante lo
ricorda anche nella
Divina Commedia (Inferno, canto X e Purgatorio,
canto XI) e nel
De vulgari eloquentia, mentre
Boccaccio lo cita nel
Commento alla Divina Commedia e in una novella del Decameron.
La
sua personalità, connotata da un certo sdegno per l'aristocrazia del tempo, emerge dal ricordo che ne
hanno lasciato gli scrittori contemporanei: dai cronisti Dino Compagni e
Giovanni Villani a novellieri come Boccaccio e Franco Sacchetti. Scrive di lui Dino Compagni:
«
Un giovane gentile, figlio di messer Cavalcante Cavalcanti, nobile
cavaliere, cortese e ardito ma sdegnoso e solitario e intento allo
studio ».
Famoso e significativo l'episodio narrato dal Boccaccio di una specie di scherzoso assalto, da parte di una brigata di giovani fiorentini a cavallo, al "meditativo" Guido, che schivava la loro compagnia. Lo stesso episodio verrà ripreso da Italo Calvino nelle "Lezioni Americane", in cui il poeta duecentesco, con l'agile salto da lui compiuto, diventa emblema della leggerezza.
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