La crisi del papato e i primi movimenti di riforma (parte 1)

Siamo agli albori del XIV secolo, precisamente nel 1305 quando papa Clemente V, dopo essersi riappacificato con la corona di Francia, decise di trasferire la sede papale ad Avignone. Ebbe così iniziò quel periodo di circa 70 anni (1305-77) chi fu chiamato "cattività babilonese", perché durò tanto quanto era durata la prigionia del popolo di Israele a Babilonia. Ora cerchiamo di capire il motivo per il quale ci fu questa crisi nella chiesa. Durante questa fase, non solo la curia pontificia fu totalmente in balia dei prelati francesi, ma, benché riuscisse a costituire una solida struttura burocratica-finanziaria, entrò in un profondo periodo di crisi, durante il quale, oltre a cercare di rialzare il prestigio morale che aveva perduto, dovette misurare le proprie ambizioni politiche con l'affermazione delle grandi monarchie nazionali (Approfondimento all'articolo). Lo stato di decadenza della Chiesa suscitò le rimostranze di vescovi, teologi e spiriti illuminati, che denunciarono la condizione di corruzione in cui essa si trovava e si adoperarono affinché la sede papale tornasse nel suo luogo naturale, a Roma

Papa Clemente V

Particolarmente accorti furono gli appelli di santa Caterina da Siena (1347-80), che nel 1377 riuscì finalmente a ottenere da Gregorio XI (1370-78) il rientro nella città santa. Di lì a poco, però, un nuovo evento avrebbe dilaniato per oltre 40 anni la Chiesa e il mondo cattolico: il grande scisma d'Occidente. Accade infatti che alla morte di Gregorio XI i cardinali francesi, che manovravano affinché venisse eletto al soglio pontificio un loro connazionale, si scontrarono con i prelati italiani, che alla fine scelsero l'arcivescovo di Bari, Bartolomeo Prignai, il quale assunse il nome di Urbano VI (1378-89). Dal canto loro, i francesi dichiararono invalidata l'elezione e acclamarono papa il cardinale Roberto di Ginevra, che prese il nome di Clemente VII (1378-89). 

Incontro tra Clemente VII e il duca Luigi I d'Angiò

Iniziava così il grande scisma d'Occidente, per cui il mondo cattolico si trovò diviso nell'obbedienza a due pontefici; la frattura si aggravò quando i vescovi, nel tentativo di sanare la divisione, elessero nella persona di Alessandro V (1409-1410) un nuovo capo della Chiesa, in sostituzione dei due precedenti, i quali però si rifiutarono di lasciare il soglio pontificio, per cui si ebbero in una sola volta ben tre papi.     La situazione del papato diede vita a una serie di eventi che si proponevano il rinnovamento della Chiesa. Innanzitutto, si venne sviluppando la teoria conciliare. Questa dottrina, basandosi anche sulle riflessioni di Marsilio da Padova (di cui parliamo in questo articolo) e di Guglielmo di Ockham, contrapponeva al potere monarchico assoluto del papato, il potere espresso dall'intera Chiesa, rappresentata appunto dal Concilio. Uno dei maggiori centri in cui prese piede la teoria conciliare fu l'università Sorbona di Parigi, laddove erano in fase di affermazione gli stati nazionali e le relative monarchie venne sempre più delineandosi la tendenza alla formazione di chiese nazionali controllabili dai sovrani. 

L'università Sorbona di Parigi

In Inghilterra le critiche al papato assunsero un carattere più rivoluzionario; infatti, durante il regno di Edoardo III (1327-77) il parlamento divenne il portavoce di un forte movimento nazionalista, a capo del quale si pose un professore di Oxford, John Wycliff. Il cristianesimo che predicava Wycliff era carico di conseguenze sociali (divisione dei beni della Chiesa tra i poveri, negazione delle gerarchie ecclesiastiche ecc.) e per questo suscitò un'ampia adesione presso i ceti più popolari, dando vita al movimento rivoluzionario politico-religioso dei Lollardi. A causa della loro potenzialità rivoluzionaria, i Lollardi furono combattuti dalla monarchia inglese, che comunque non riuscì ad annientarli, tanto che sopravvissero fino al 1500, quando trovarono terreno favorevole alle loro teorie nel clima della riforma luterana. In Boemia un professore di Praga, Giovanni Huss, riprendendo le teorie di Wycliff, diede vita al movimento hussita, il quale, oltre a combattere la corruzione del clero, assunse tinte nazionaliste e rivendicò l'indipendenza della Boemia dall'Impero.

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