La chirurgia in epoca medievale ha avuto origine sui campi di battaglia, dove nell'arco di molti secoli il chirurgo ha sperimentato, provato, estratto e curato un numero considerevole persone, ma non sempre il chirurgo riusciva a curare o salvare il malcapitato, spesso una buona percentuale è predestinata a morire. Le sperimentazioni di nuovi prodotti a base di erbe,decotti e prodotti comuni di cui il vino,l'aceto,l'olio e acqua speziata hanno incrementato la probabilità di poter curare ferite di taglio, febbre e brutte infezioni. I primi studi di chirurgia che ci sono stati tramandati risalgono all'epoca romana, ma il medioevo è stato un frangente importante per questa disciplina, perchè ha consentito di arricchire le conoscenze sempre di più grazie alle sperimentazioni nell'estremo oriente. Nella trattatistica dei secoli XII e XIII ritroviamo chirurghi che si impegnarono per mettere a punto metodi appropriati per l'estrazione delle frecce e per la loro cura dei loro effetti, se altro non fossero, dell'importanza assunta da tali ferite. Nel libro "
Pratica chirurgiae" composta fra il 1170 e 1180 da Ruggero de Frugardo, spiega come estrarre una freccia se qualcuno è colpito da un dardo sulla faccia, spiegando in dettaglio se con alcuni solleciti dell'asta si riesce a capire se è in profondità, se bisogna estrarre solo l'asta in legno, oppure se ha solo la punta in ferro e l'asta in legno e quant'altro. Ovviamente sono riportati casi in cui la freccia avente la punta in ferro in profondità, non era possibile estrarla facilmente, quindi era meglio lasciarla dov'era: molti infatti vissero con un ferro in corpo, o almeno si sperava che i tessuti rigettassero da solo il corpo estraneo.
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Operazione chirurgica da un affresco, probabile XV sec. |
Ancora di maggiore cautela occorreva per dardi dotati di <<barbe>>, risultano gravi le perforazioni del cranio ritenuta tuttavia curabile, salvo se nel ferito non compaiono segni mortali (infezioni con liquido) o se in sei o sette giorni non compaiono segni di miglioramento (cicatrizzazione della pelle senza fuoriuscita di liquido infetto). I trattati di chirurgia passano ad esaminare ferite di freccia dalla faccia al capo fino ai piedi: mortale è giudicata di solito la ferita alla gola. Consigli simili espongono nella metà del XIII sec. i trattati chirurgici di Rolando da Parma, Teodorico da Lucca e Guglielmo da Saliceto, ricordiamo iconografie dell'arazzo di Bayeux che ci mostra Aroldo d'Inghilterra nel momento in cui ad Hastings fu colpito da una freccia mortale in unn occhio; il
Liber in honorem Augusti di Pietro da Eboli raffigura il ferimento del conte Riccardo di Acerra avvenuto nel 1191 durante l'assedio di Napoli.
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Liber in honorem,
sopra il ferimento di Riccardo di Acerra
e il momento dell'operazione chirurgica |
Teodorico da Lucca distingue l'estrazione delle frecce a seconda del tipo della forma: punta grande o piccola, concava o smussata, biangolare, triangolare o quadrangolare, e a seconda di dove viene colpito: cervello,cuore, polmone ecc., con i relativi effetti avvertendo che, bisogna stare attenti nel momento in cui la freccia viene estratta dal paziente, perchè potrebbe sopraggiungere la morte immediatamente. L'estrazione può porre grandi problemi senza riuscirci, pertanto come citato in precendenza meglio lasciare il proiettile all'interno finchè non decide di uscire da solo. A volte cita il chirurgo, bisogna recitare il
Pater noster e recitando testuali parole <<
Nicodemo estrasse i chiodi dalle mani e dai piedi di nostro Signore e perciò così questa freccia fuoriesca >>.
Ci sono casi eclatanti di guarigioni inasepttate descritti da alcuni chirurghi, ad esempio il fratello di Enrico Cinzario di Cremona, colpito con una freccia nel collo con paralisi totale di tutto il corpo al di sotto della lesione, aveva già intuito la morte che fosse vicina, ma il ferito si ristabilì e potè camminare con due bastoni per altri dieci anni. Un altro caso raro di un uomo piemontese che ebbe lo stomaco trapassato da parte a parte fin dietro la schiena da una grande freccia, costui venne curato per mezzo di abluzioni (lavaggi) di solo vino fatte assiduamente.
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Chirurgia nel XIII secolo |
Le trattazioni non fanno distinzione tra lesioni dovute a colpi di spada, da frecce o armi simili, piuttosto la distinzione avviene se le ferite sono curabili o meno: lesioni al cranio per freccia, spada o altro sono considerate pericolose e possono portare al delirio del paziente. Le ferite al collo sono incurabili specie quando il "midollo fuoriesce dall'osso", oppure se è di forma circolare che è più difficile curare. Teodorico da Lucca
propone di curare tutte le ferite soltanto con bende e vino, come ad esempio ad un paziente che fu mozzato il naso da un colpo di spada, Teodorico vedendo che il paziente aveva ancora il naso a penzoloni glielo ricucì con circospezione, nelle narici gli inserì delle bende inbevute nel vino caldissimo. Le ferite all'addome con fuoriuscita della materia, Guglielmo da Saliceto afferma di aver curato un paziente con tale problema dopo aver lavato le interiora bagnandoli nel vino caldo, poi li ha reinseriti all'interno della cavità addominale ricucendo la ferita, dopodichè ha cosparso in quantità abbondante la polvere fina, conservativa; quando la ferita si chiuse vi applicò <<giallo d'uovo, olio rosato e un po di zafferano>>, la cronaca descrive che quest'uomo guarì, ma visse a lungo, si sposò ed ebbe figli. Infine le cadute da cavallo con rottura delle ossa o slogamenti, venivano curate con l'ausilio di stecche di legno fasciate intorno da bende; dopo vari giorni circa cinque o sei, il bendaggio veniva tolto, se il paziente guariva poco, si continuava con i fasciamenti e le stecche per prolungare la cura.
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Rolandus Parmensis, Chirurgia, I, 5-6, esame chirurgico di una frattura del cranio (manoscritto del Nord Italia, circa 1300, Roma). |
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