Pochi argomenti sono più scivolosi di quello del simbolo, così facile a farsi piegare a derive mistico-esoteriche più o meno deliranti.
Non è questo il caso di Michel Pastoureau, ovviamente, che è uno dei più noti e rispettati medievisti al mondo. E che in questo “Medioevo simbolico” (o, secondo il titolo originale, meno suggestivo ma più rigoroso, “Une historie symbolique du Moyen Âge occidental”) realizza una raccolta di saggi che consentono di gettare uno sguardo su un sistema di pensiero tanto affascinante, quanto lontano per noi moderni.
I saggi sono raggruppati intorno a cinque temi, che corrispondono ad aree di interesse coltivate da Pastoureau nella sua lunga carriera accademica: gli animali, i vegetali, i colori, gli emblemi araldici e i giochi. Impossibile, per ovvie ragioni, dare un'idea anche sommaria del contenuto; basti dire che il processo va sempre dal particolare all'universale, partendo da domande limitate per arrivare alle strutture profonde che governano l'immaginario di un'intera epoca.
Tanto per fare qualche esempio: perché mai nel Medioevo era considerato legittimo, persino doveroso processare e giustiziare in pubblico un maiale che aveva ucciso un neonato? perché, ancora oggi, consideriamo il leone “re degli animali”? perché i nobili medievali cacciavano il cervo, e non altri animali? da dove deriva il giglio, che era l'emblema dei re di Francia? come percepivano i colori gli uomini del Medioevo? perché il mestiere dei tintori era malvisto?
Ma forse il capitolo più interessante e rivelatore è l'ultimo, il più breve, intitolato “Risonanze”, nel quale Pastoureau parla delle favole di La Fontaine, di un sonetto di Gérard de Nerval e di “Ivanhoe” di Walter Scott. Tre temi che con il Medioevo vero e proprio sembrano entrarci poco, ma che dimostrano come il Medioevo, non solo quello storico ma anche quello sognato e idealizzato nei secoli successivi, continui ad informare il nostro immaginario.
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