L'assedio di Napoli

In passato abbiamo parlato delle guerre gotiche, che sono considerate dagli storici uno degli spartiacque fra l'età classica ed il Medioevo per la penisola italiana: infatti la distruzione, le devastazioni e gli sconvolgimenti demografici furono tali e tanti che, nel giro di una manciata di anni, l'Italia cambiò radicalmente volto. In sintesi il sopravvissuto Impero Romano d'Oriente, conosciuto anche come Impero Bizantino, voleva riprendersi i territori un tempo appartenuti a quello d'Occidente; per farlo cominciò una guerra con gli Ostrogoti, di stanza nella penisola italiana, che porterà ai disastri di cui si è accennato. Un esempio di quello che successe ve lo raccontiamo con questo articolo: parleremo infatti dell'assedio di Napoli.

Il generale Belisario, uno dei protagonisti della nostra storia

L'Imperatore Giustiniano aveva incaricato il generale Belisario di riconquistare i territori occidentali ormai in mano barbara. Ai tempi dell'assegnazione di tale incarico, Belisario già aveva sottomesso i Vandali dell'Africa, e quindi, nel 535 d.C., si apprestò a continuare il lavoro di riconquista in Italia meridionale. Secondo lo storico Procopio di Cesarea conquistò la Sicilia, attraversò lo stretto nel 536 ed arrivò in Calabria; poi proseguì la sua risalita lungo la penisola fra l'acclamazione popolare, fino ad arrivare a Napoli, all'epoca una piccola città, però fornita di mura possenti e presidiata da un nutrito numero di Ostrogoti. Napoli aveva ancora l'aspetto del periodo classico: al netto delle basiliche paleocristiane, erano ancora presenti tutti i templi e l'impianto urbanistico era esclusivamente quello dei cardi e dei decumani; sull'isolotto di Megaride, al posto di Castel dell'Ovo, che verrà costruito più di 400 anni più tardi, era presente ancora la villa imperiale dove venne imprigionato Romolo Augustolo, ultimo imperatore d'Occidente.

Immagine ipotetica di come sarebbe dovuta apparire la città alla fine dell'età classica


Belisario diede udienza agli Ottimati della città, ossia i funzionari di rango più alto, che cercarono di dissuaderlo dall'attaccare Napoli. Procopio di Cesarea ci riporta il dialogo fra uno degli Ottimati, Stefano, ed il generale Belisario

Stefano disse: "Operi ingiustamente, o duce, nel guerreggiare innocenti Romani abitatori d’una cittadetta, e per guisa tenuti in freno da presidio di barbari padroni, che pur volendo in nulla possono contraddirli. Eglino di più col venire alla difesa delle nostre mura nelle mani di Teodato lasciarono i figli, le mogli, ed ogni preziosissima suppellettile; il perché se unissersi ben anche a noi per tendergli qualche insidia, estimerebbonsi meglio traditori di loro stessi che non della città nostra. Aggiugnerò in oltre, se m'é dato confessarti liberamente la verità, essere a voi medesimi perniziosa la fatta risoluzione di assalirci; imperciocché riusciti una volta ad impossessarvi di Roma, adiverrete similmente e con tutto vostro agio padroni di Napoli, e rispinti da quella non potrete aver sicurezza neppur tra noi: laonde assediandoci spendereste indarno il vostro tempo."

Belisario rispose così all'Ottimate: "Se bene o male, se con prudente e diritto consiglio noi siamo qui venuti nol sommettiamo all’osamina de’ Napoletani: bramiamo solo che voi attentamente ponderiate le conseguenze della nostra deliberazione, e qumdi abbracciate quanto sarà di vostro maggior profitto; e certo lo rinverrete accogliendo l’esercito dell’imperatore spedito a voi, non meno che a tutti gli altri Italiani, all’uopo di rendervi liberi, e non anteponendo ai buoni consigli i pessimi. Gli uomini intolleranti della servitù o d’altra infamia comunque volgonsi alle armi, e se la fortuna arride loro ne traggono doppio frutto, la vittoria dico e l’andar liberi delle sofferte molestie: e sia pure che rimangano sconfitti nella pugna, confortali impertanto almeno quel seguire a malincorpo un’avversa fortuna. A chi per lo contrario è dato scuotere il giogo senza i pericoli della guerra, ove a questa ricorra lo riterrà più fortemente, imperciocche la stessa vittoria, se per ventura giunge ad acquistarla, addiverragli di gravissimo nocumento; se poi ritraggasi perdente dal campo, a cumulo di tutte le altre sciagure avrà eziandio la riportata strage; ciò valga a’ Napoletani. Quanto è a Gotti con voi di stanza, sia in facoltà loro il voler piuttosto d’ora in avanti unitamente a noi obbedire al grande imperatore, o il tornare sani e salvi ai loro focolari. Abbiate poi voi tutti fermo nella mente che se, rigettate queste proposizioni, oserete venire con noi a battaglia, non potremo a meno, coll’aiuto del Nume, di accogliere ostilmente chiunque ci farà contro. Infine quando i Napoletani amino seguire le parti di Augusto io sono pronto a riceverli ed a conceder loro la somma de’ beni che facemmo dapprima sperare ai Siciliani, e su de’ quali ora eglino a torto accuserebbonci di falso giuramento."

Stefano riferì dunque ai Napoletani le parole del generale e consigliò loro di consegnare ai Bizantini la città senza resistere. Era con lui d'accordo Antioco, originario della Siria, trasferitosi a Napoli per motivi commerciali. Ma Pastore e Asclepiodoto, oratori contrari a Bisanzio e filo-gotici, tentarono di dissuadere i Napoletani dal consegnare la città a Belisario senza resistenza, sollecitandoli a proporre molte condizioni gravose per la resa della città, e ad obbligare, con un solenne giuramento, Belisario all'immediata esecuzione delle promesse. Le condizioni della resa vennero scritte su un foglio e consegnate a Belisario tramite Stefano. Il bello fu che il generale bizantino accettò tutte le richieste. 

Asclepiodoto e Pastore furono spiazzati: i Napoletani erano quasi sul punto di aprire le porte ai Bizantini, ma i due imbastirono un nuovo discorso per convincerli a desistere dall'arrendersi facendo leva sulla paura del popolo stesso e sui punti di forza di un eventuale assedio. Così il popolo rifiutò la resa; Belisario andò su tutte le furie, cinse d'assedio la città e tagliò l'acquedotto di rifornimento.

I ponti rossi, acquedotto di epoca romana che alimentava la città


Belisario allora studiò il modo di entrare in città e, in una ventina di giorni, capì che il passaggio attraverso l'acquedotto era quello più indicato per far passare il suo esercito. Convocò per l'ultima volta Stefano, per convincerlo a dissuadere il popolo napoletano; all'ennesimo rifiuto, il generale bizantino entrò in azione: affidò a due comandanti il compito di penetrare in città tramite l'acquedotto, uccidere le sentinelle, le guardia e poi consentire al resto dell'esercito l'entrata in città. Finiti nella casa di una povera signora, la zittirono con la minaccia di morte e così poterono raggiungere le mura, che finirono attaccate sia dall'esterno che dall'interno. Le guardie opposero strenua resistenza fino all'alba, prima di essere messe in fuga; una volta fatto ciò, le porte della città furono aperte e l'esercito imperiale poté entrare in massa a Napoli. Alcuni studiosi ipotizzano che l'esercito sia entrato in città dall'area dell'odierna chiesa di Santa Caterina a Formiello (il toponimo infatti, indica la presenza di un acquedotto), quindi la porta aperta potrebbe essere nella zona di Porta Capuana.

Porta Capuana, non lontano dalla probabile area dell'ingresso a Napoli di Belisario

La città fu sottoposta a saccheggio e i soldati imperiali, soprattutto gli Unni, al loro ingresso massacrarono senza far distinzione di sesso e di età quanti incontravano per strada; profanarono addirittura le chiese, ritenute all'epoca sacro luogo d'asilo, massacrando coloro che vi erano entrati nel tentativo di salvarsi; Pastore, vedendo la città invasa, morì di attacco apoplettico; Asclepiodoto invece, fu linciato e fatto a pezzi dagli stessi napoletani sopravvissuti; i suoi pezzi furono esposti in diversi punti della città, insieme a quelli di Pastore. Napoli era distrutta e saccheggiata al punto tale che lo stesso Belisario dovette adoperarsi per fermare i saccheggi. 
Papa Silverio, in seguito, esortò il generale a ripopolare la città, ormai decimata, ed il bizantino, per il senso di colpa nell'aver ecceduto con le violenze, la ripopolò con coloni provenienti dalla Sicilia, dal Sud Italia e dall'Africa
Alla fine della guerra gotica, la demografia di Napoli ed il suo aspetto erano cambiati per sempre, e non sarebbero mai più tornati quelli dell'età classica.

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