Il rudere dimenticato dello Stupor Mundi

Siamo nel cuore del Sannio. Poco a sud est di Benevento, nel paese di Calvi, esiste un palazzo diroccato, molto più grande rispetto ai casolari circostanti e che domina il paesaggio dalla cresta di una collina. All'occhio disattento potrà risultare l'ennesimo rudere di campagna che si può trovare nell'entroterra appenninico, in realtà quel palazzo fu fatto costruire niente poco di meno che dall'Imperatore Federico II di Svevia (di cui abbiamo scritto un articolo che lo riguarda) per le sue battute di caccia. Oggi vi parliamo del Casino del Principe, nella località di Cubante.

Il Casino del Principe domina il panorama dalla vetta della collina

Il nome attuale è dovuto ai Principi Spinelli, che lo acquistarono nel 1593, ma la storia di questo palazzo, come è intuibile dall'introduzione, ha almeno tre secoli in più. La tesi che il palazzo fosse di origine federiciana, comincia a circolare grazie allo storico laureato Maio fra il 1983 ed il 1996: come ben si sa, l'Imperatore Federico II amava il passatempo della caccia, tanto da disseminare il mezzogiorno d'Italia di castelli e residenze edificate proprio a tal fine. Esempio su tutti è Castel del Monte, patrimonio dell'Umanità, a cui abbiamo dedicato un articolo in passato. 
Si sa che l'imperatore era presente nell'area del Sannio intorno al 1229, per riconquistare dei territori che il Ducato di Benevento aveva sottratto all'influenza imperiale, fra cui le terre dei paesi di Apice e Montefusco, dove oggi sorge l'odierna frazione di Cubante; altro momento in cui Federico II mise piede in questi territori fu nel 1240, per cingere d'assedio Benevento, e si sa che soggiornò presso il paese di Apice.
Questi aspetti, fanno pensare che in questo periodo deve aver avuto inizio la costruzione della sua dimora, cioè fra il 1229 ed il 1240: in particolare c'è un documento storico, lo "Statutum de Reparatione Castrorum", che menziona il palazzo di Cubante come "casa dell'Imperatore presso Apice". La residenza era circondata da una riserva di caccia molto vasta, custodita dai cittadini del vicino paese di Montefusco. Si sa anche che lo sfruttamento della riserva era regolamentato per i cittadini del posto, che vi portavano a pascolare il bestiame.
I regnanti che si susseguirono nel corso dei secoli apportarono varie modifiche alla dimora: Carlo d'Angiò aggiunse delle torri per trasformarlo in un castello; altre ristrutturazioni avvennero con Ferdinando I d'Aragona, che lo usò anche come punto di appoggio per assediare la vicina Benevento; nel 1499 il palazzo divenne un possedimento di Giovanni Borgia che lo trasformò in dogana. Da quel momento comincerà un lento declino che durerà fino al XVIII secolo, per poi diventare quasi un rudere nella seconda metà del XX secolo.

Ingresso al palazzo (foto di Antonio De Capua)

Come è fatta questa struttura? Si notano ancora i segni del passato dopo i vari rimaneggiamenti effettuati nel corso della sua storia? 
Purtroppo, come si può vedere dalla foto, gran parte del palazzo è ridotto in rovina, ma l'occhio attento può leggere le varie stratificazioni architettoniche che testimoniano le fasi storiche di questo complesso.
L'edificio originario è costruito per la maggior parte in muratura a sacco, con paramenti in ciottoli di fiume; la pianta è quasi quadrata, gli angoli orientati verso i quattro punti cardinali. Sono ancora visibili, anche se pesantemente modificate, le quattro piccole torri fatte costruire da Carlo d'Angiò quando volle fortificare la struttura.

Facciata del casino con gli elementi architettonici rilevanti (foto di Antonio De Capua)

L'ala frontale, più alta ed imponente rispetto al resto della struttura, presenta l'unico accesso al palazzo. Come evidenziato nell'immagine soprastante, il portale in pietra è ottocentesco, ma attorno ad esso rimangono alcuni elementi in tufo che contornavano quello originario, come il soprastante arco a sesto acuto, in cui si apre una finestra a tutto sesto. Ai lati del portone sporgono dal muro anche due capitelli inseriti su brevi tratti di semicolonna: potrebbero essere piedistalli di statue, che si integravano con la nicchia. Sull'edificio dovevano esserci diversi elementi scultorei, purtroppo andati perduti.
Sul fianco destro, guardando la facciata, è interessante notare un oculo doppiamente strombato posto in alto, al di sotto di una colombaia aggiunta in epoca ottocentesca. Tale elemento era tipico dell'architettura campana di quel periodo ed il più antico nel suo genere. Sono presenti molti di questi oculi lungo le quattro facciate dell'edificio, caratterizzandosi come un elemento distintivo della struttura. E' inoltre visibile una delle quattro torri angioine, a pianta quadrata, che servirono a fortificare la struttura dopo la fine dell'era federiciana. Le torri sono state in parte stravolte (le meno alterate sono quella settentrionale e quella orientale), ma all'interno hanno strutture ben intonacate e coperte di volte a crociera che fanno pensare ad un uso come cisterne, anche se non è da escludere la presenza di ambienti abitabili sulla sommità di quelle frontali. Un camminamento doveva collegare le quattro torri a scopi difensivi.

Facciata laterale con l'oculo in alto (foto di Antonio De Capua)

Dato lo spessore dei muri, i solai e i tetti dovevano essere in legno. Non esistono più le scale originali ma solo quelle costruite nel XIX secolo. 

Immagine assonometrica tratta da una tesi di laurea (link) proponente un restauro (Università degli Studi D'Annunzio)


Attualmente non sono previsti recuperi o restauri del complesso. E' un vero peccato che un pezzo di storia, in un ambiente rurale e suggestivo come quello sannitico, debba restare preda dell'abbandono, quando questo palazzo avrebbe tutti i crismi per divenire un punto di riferimento del territorio a est di Benevento.

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